Martina - La fase di latenza
Un percorso di psicoterapia infantile
INDICE
Introduzione pag. 3
Martina (nome di fantasia) pag.4
Il Percorso p.p. 4-24
(Osservazioni dalla 1° alla 16°)
Conclusioni pag. 24
Considerazioni teoriche pag. 26
Bibliografia pag. 29
INTRODUZIONE
Secondo la teoria psicoanalitica, con il conseguimento dell'identificazione e il declinare dello stadio fallico volgono al termine i primi anni cruciali della vita. Da quel momento in poi, i conflitti vengono risolti secondo modalità caratteristiche.
La personalità cambia, ma ciò è principalmente dovuto a differenziazioni ulteriori della struttura di base.
E' impressionante come questi primi anni così importanti vengano ricordati solo in maniera confusa dagli adulti, a causa della massiva repressione che su di essi e' stata operata.
Dopo lo Sturm und Drang dei primi tre stadi, subentra un periodo di calma relativa, la fase di latenza, un periodo compreso fra il 6° e l' 11° anno di età, in cui le pulsioni sessuali sono represse e non emerge alcuna area del corpo che sia fonte di eccitamento.
Il bambino opportunamente dimentica le pulsioni sessuali e le fantasie dei suoi primi anni.
L'energia sessuale continua a scorrere, ma e' ora incanalata, rivolta verso interessi sociali e intenta alla costruzione di meccanismi di difesa verso la sessualità, continuano nel frattempo a svilupparsi l' Io e il Super- Io.
Martina (Ovviamente il nome è stato opportunamente cambiato)
Martina e’ una bambina di sette anni affetta da balbuzie e disturbata nella sfera relazionale con problematiche di apprendimento, frequenta la 2°elementare.
I genitori entrambe operai, giungono insieme al primo colloquio con la scrivente. Spiegano di essere sempre stati educati all'insegna del dovere e del sacrificio, da famiglie "per bene". Dichiarano di voler affrontare il problema della bambina che nel corso degli ultimi due anni tendeva a chiudersi progressivamente in sé stessa. I genitori si dimostravano consapevoli del fatto che il sintomo che M. presentava era correlabile ad una situazione familiare inadeguata, palleggiandosi però la responsabilità di questa colpa. Il padre, sofferente da anni di una forma depressiva era reduce da frequenti ricoveri. La moglie ha sempre assistito il marito in clinica sentendosi in colpa per aver a lungo trascurato M. che era stata affidata per l'intera giornata alla nonna materna.
La signora descrive la propria mamma come una donna rigida e severa che pretendeva assoluta obbedienza. Anche con la nipotina si era dimostrata repressiva ed esigente. La frase ricorrente che veniva riportata a M. era " fai la persona adulta e non la bambina piccola".
Il percorso
1* OSSERVAZIONE
Martina accompagnata dai genitori. Mese di ottobre.
I genitori in presenza della bambina cominciano a raccontare delle vicende familiari, della depressione del padre, della nonna troppo severa. La madre rivendicoòla sua fetta di colpa sostenendo di non essersi occupata abbastanza della figlia. Mentre i genitori parlavano, in modo piuttosto ansioso, osservai la bambina compostamente seduta in mezzo a loro. Teneva le braccia incrociate e tese appoggiate sulle ginocchia. Lo sguardo rivolto verso il pavimento.
Sembrava proprio che il blocco espressivo e relazionale di Martina, fosse legato ad un massivo ordinamento Super-Egoico che le due figure vicarianti (nonna sadica e ossessiva e madre colpevolizzante) avevano indotto nella bambina spingendola verso una meta ideale ( l'essere adulta) fisiologicamente impossibile. L'angoscia di essere abbandonata produceva l'evidente sintomatologia di Martina.
Mi rivolsi allora alla bimba per chiederle se aveva voglia di parlare un po' da sola con me . La bimba accennò un timido assenso con il capo.
Accompagnai i genitori in accordo con la mia proposta fuori dallo studio.
“Uffa, sono stanca di andare a scuola” mi comunica la bimba alzandosi dalla sedia e guardando fuori dalla finestra.....poi mi guarda e sembra attendere una mia reazione. "Uffa, questi adulti....quante cose che pretendono! Tu sei una bimba, hai sette anni e non puoi fare le cose come i grandi. E' giusto che tu faccia la bambina” le comunico. Sul volto di Martina si aprì un enorme sorriso, e con la voce questa volta, espresse il suo assenso ripetendo tre o quattro volte di si.
Martina fece due saltelli ed espresse il suo desiderio di disegnare. Le offrii fogli e colori. Disegnò rilassata una casa con dei giardini, uno scivolo e l'altalena. Mi spiegò che a lei piace andare sullo scivolo, ma la nonna non vuole che si sporchi. Le feci anche presente che mi era sembrato che per lei era difficile manifestarsi come bambina piccola, previa possibilità di perdere la mamma. M. sorrise, mi venne incontro e mi abbracciò. Mi fece promettere che non avrei mai raccontato a nessuno le sue cose. Confermai la mia fedeltà,nulla di ciò che faremo e ci diremo uscirà mai da questa stanza, aggiunsi.
Quando le feci notare che il nostro tempo insieme era terminato nel viso di M. comparve una smorfia di dissenso.
Ci vedremo fra una settimana, io ti aspetto la rassicurai. All'arrivo della mamma, M. salutò con un ciao distratto poi si rivolse verso la stessa chiedendole : "torniamo qui?" Certo rispose la signora, prese per mano la bimba sorridendole e insieme lasciarono la stanza.
2*OSSERVAZIONE
M. Entra nella stanza saltellando (noto che saluta frettolosamente la mamma con un ciao voltandole le spalle). La signora è di fretta e mi saluta affannata.
Nella stanza c'è un piccolo tavolino con dei colori e una scatola con dei giochi. M. la osserva ma la ignora.
Notando il poco interesse che la bambina rivolge ai giochi, le proposi di disegnare una famiglia. M. accoglieva con piacere la mia proposta e sorridendomi si mise subito all'opera, invitando anche me a fare un disegno..
M. disegna tre donne adulte tutte uguali vestite nello stesso modo, poi disegna il padre, molto lontano e decentrato rispetto al foglio. Alla richiesta di dare un' identità ai personaggi, M. attribuì ad ogni figura femminile il nome della mamma , della sorella maggiore, il suo e per ultimo quello del padre.
Interpretai il disegno spiegandole come nello stesso ella esprimesse la sua difficoltà a viversi come bambina piccola e il suo tentativo di agire come se fosse grande, cioè uguale alla mamma e alla sorella maggiore. Il papà veniva invece vissuto come scarsamente presente nella dinamica familiare.
M. sorrise e mi comunicò che era proprio contenta di stare a disegnare con me. Noto anche che mentre mi parla balbetta meno dell'altra volta. Si rifiuta di colorare il padre. Mi spiega che non ha più voglia perché e' stanca.
Mi consegna il disegno allungandomelo con la manina. "Ecco....ti piace? Sono brava vero ? " Mi domanda. Le rispondo che ha disegnato proprio bene. Poi mi invita a mostrarle il mio di disegno.
"Hai disegnato una casa.....e qui dentro ci siamo noi che disegniamo (commenta entusiasta)...a me non lo dicono mai che sono brava".
Le sorrido. E' lampante come M. ricerchi conferme, contenimento e riconoscimento da parte di un mondo adulto rassicurante.
3*OSSERVAZIONE
M. oggi arriva con le idee chiare....mi comunica che vuole fare subito un altro disegno.
Le comunico che è proprio una bella idea e poi i suoi disegni a me piacciono.
M. mi osserva incredula. Ma davvero? Domanda. Si certo confermo. Sul suo viso esplode un bel sorriso e si mette all'opera.
M. in un angolino di un grande foglio che recupera lei stessa sullo scaffale, disegna una piccolissima bambina, girata di spalle, con un pallone in mano, sopra la bimba disegna una grande mamma.
Interpretai di nuovo il disegno spiegandole che forse aveva disegnato sé stessa, la bimba che si vergognava di essere piccola nei confronti di questa grossa mamma perfetta, che la sovrastava e di cui temeva il giudizio. Si era infatti disegnata piccola ma vergognosa di esserlo (infatti era girata di spalle) , con la paura che la mamma potesse accorgersene.
Interpretai inoltre la sua paura di una ritorsione (ho scoperto che sei piccola così ti abbandono) e il suo timore che anch'io potessi comportarmi nello stesso modo.
M. mi ascolta guardandomi negli occhi."A me piace giocare con l'acqua e andare sullo scivolo ma poi non lo dico, altrimenti mamma si arrabbia e poi sgrida anche papà per prendere le pastiglie e mi preoccupo che si ammala papà” mi comunica con una vocina sottile. Intanto ricalca con forza, con il pennarello il contorno della figura della mamma che ha disegnato.
Offro a M. la mia comprensione per la sua sofferenza.
"Mannaggia questi grandi, a volte non capiscono che i bambini devono e possono fare solo i bambini. M. sospira..."Chiederò ancora a Gesù di parlare alla mamma" M. sbadiglia tenendo la mano sulla bocca poi mi rammenta che la prossima volta che verrà farà un altro disegno e poi parleremo della mamma.
Prima di andare mi saluta con un bacio sulla guancia.
4*OSSERVAZIONE
M. arriva al nostro appuntamento accompagnata come sempre dalla mamma. La saluta con un frettoloso bacio e sembra essere particolarmente intenzionata ad entrare nella stanza. La mamma mi accenna un saluto con la mano, mi sorride e mi dice "non vedeva l'ora di venire.
M. Nel frattempo si e' già seduta sulla sediolina appoggiata con i gomiti sul tavolino.
E' particolarmente solare, mi sorride e mi comunica cosa disegnerà oggi.Man mano che le venivano interpretate le sue paure di essere giudicata, inadeguata perché era piccola, per alcune sedute, proseguì con questo gioco del disegno, dove era via via lei ad impostare i temi da rappresentare. Oggi disegno la mia mamma piccola che gioca con me a palla. Mi comunica. Interpreto che forse se la mamma diventasse un po' piccola come lei potrebbe comprendere meglio i suoi desideri di bimba."Si, e poi forse vuole disegnare "aggiunge cercando il mio sguardo.M. cura molto i particolari del disegno aggiunge due collane una a sé stessa e l'altra alla mamma, colora i bottoni del vestito e sembra mettere in gioco aspetti identificativi e competitivi con un femminile alquanto conflittuale e molto richiedente .
Faccio notare a M. la sua abilità, mi complimento con lei che sembra gradire i miei rinforzi alla sua autostima. "Mi, mi, mica me lo dicono tanto che sono brava sai ? Neanche la maestra " commenta balbettando.
"Adesso mi aiuti poi quando vado via a mettermi la giacca ?"Mi domanda continuando a colorare.
Sembra davvero volermi consegnare i suoi aspetti di bambina desiderosa di cure e attenzioni.
Le sorrido e l'aiuto ad infilarsi la giacca. "Grazie !"Esclama, sei davvero gentile.
All'arrivo della mamma M. le fa notare che e' già pronta . La signora le sorride accarezzandole i capelli. Si allontanano a testa bassa verso l'uscita.
Ed e' proprio alla sua mamma che M. sembra voler comunicare il suo bisogno di attenzioni di una maggiore cura.
5* OSSERVAZIONE
Oggi M. entra in studio e si guarda intorno, poi dopo aver frettolosamente salutato la mamma di spalle con un ciao, si avvicina a uno scaffale di giocattoli.
Si passa quindi dal disegno insieme, al gioco insieme.
M. appare rilassata nel luogo della seduta ma sembra assumere un atteggiamento di titubanza di fronte allo scaffale. Osserva i giochi un po' a distanza, poi cerca silenziosa il mio sguardo.
Sembra davvero in difficolta' ." Non lo so se gioco" mi dice. Tutti i bambini giocano, puoi farlo anche tu" le comunico incoraggiandola. "A te piace se gioco?" Mi domanda. La rassicuro ancora con la mia approvazione. Sembra che M. si trovi di fronte a una scelta che potrebbe essere rischiosa per lei. Forse teme che anche la dottoressa possa abbandonarla se cedesse al desiderio di accostarsi al mondo dei giocattoli, un mondo notoriamente rivolto ai bambini piccoli e non agli adulti. Come nel gioco del disegno, aiutai M. a esplorare ciò che era consono alla sua età. "Belli questi giocattoli, carina questa bambola,"commentai avvicinandomi a lei. M. rimase bloccata e mi osservava dubbiosa.
Interpretai la sua paura della mia disapprovazione, rappresentandole l'equivalenza mentale, probabilmente elaborata dal suo pensiero e cioè : essere piccoli, cattivi e abbandonati.
Il mio intervento servì a sbloccare parzialmente la tensione di M. così da concordare per le sedute successive, che sarebbe stata la bambina a scegliere i giochi con cui giocare insieme.
6*OSSERVAZIONE
M.entra nello studio, mi saluta con un ciao poi resta in piedi davanti alla porta con lo sguardo per terra. Mi avvicino, le accarezzo i lunghi capelli neri e le tendo la mano. La bimba mi sorride , afferra energicamente la mia mano e si lascia accompagnare verso lo scaffale dei giochi.
"A cosa vuoi giocare oggi?" domando a M. La bimba tende il braccio verso una bambola, poi mi scruta con lo sguardo e mi chiede timidamente se va bene. La incoraggio, aggiungendo che è proprio carina quella bambola. M. sembra rilassarsi, accenna un sospiro e prende la bambola tra le braccia.
La osservo sorridendole con approvazione.
M. inizia a coinvolgersi in un gioco simbolico che la vede davvero protagonista. Parla con la bambola, le dice che deve essere pettinata per andare a passeggio. Le prepara da mangiare e la culla per farla addormentare.
E' serena ,. sembra davvero entrata nel suo ruolo di bimba. Ogni tanto ricerca la mia approvazione, che pare incoraggiarla a continuare il suo gioco di accudimento.
Hai proprio giocato bene oggi ! Ti e' piaciuto ? Le domando . M. sorride ancora e congedandosi con un abbraccio di gratitudine mi comunica che la prossima volta se voglio possiamo giocare ancora.
Il rituale che si stabilì anche per le sedute successive fu cadenzato da una sequenza di azioni. Quando la bambina entrava in studio, mi chiedeva di essere presa per mano per essere condotta nel mondo dei giocattoli. Le chiedevo ogni volta a cosa volesse giocare.
M. progressivamente entrò in questo schema di relazione, sia pure con evidenti difficoltà nella fase iniziale, nominando e andando a prendere i giocattoli che intendeva utilizzare nel corso della seduta. All'inizio, l'atteggiamento nei miei confronti era ancora molto dipendente. Ogni sua scelta era sempre preceduta da un’implicita richiesta d’autorizzazione da parte mia per intraprendere il gioco.
Questa difficoltà le veniva sempre interpretata dalla scrivente e parallelamente le veniva anche offerto un rinforzo verbale circa la possibilità di scegliere ciò che voleva.
Si aprì in questo contesto un percorso che segnò una lenta progressione verso l'uso spontaneo e creativo dei giochi.
7*OSSERVAZIONE
M. entra sorridente e saltellando nella stanza. Sembra che anche il suo corpo inizi a esprimere le sue caratteristiche di bimba con il diritto di poterlo anche esternare.
La bimba mi saluta con un bacio poi mi guarda in silenzio. Sembra attendersi qualche iniziativa dalla scrivente.
Tendo la mano a M. ci avviciniamo allo scaffale. A cosa ti piacerebbe giocare oggi? Domando.
M.si illumina in viso. Il suo sguardo parla da solo. Finalmente ha avuto la mia approvazione.
"Allora posso giocare ? Mi domanda. Direi proprio di si le confermo.
M. oggi sceglie un semplice puzzle di un cartone degli Aristogatti. Mi chiede di aiutarla.
La sostengo nella sua richiesta DI METTERE INSIEME I PEZZI! Forse quelli della sua identità di bambina disorientata in un mondo adulto richiedente e confuso.
M. appare rilassata cerca il mio aiuto solo se e' in difficoltà, ma si applica anche autonomamente.
Mi dice che le piacciono i gattini e che a scuola ne vede sempre uno. Chiacchieriamo fino ad ultimare il puzzle
. "E' bello vero ?" Esclama M. attendendo un mio parere. Direi che e 'davvero simpatico, e'stato bello giocare con te anche oggi le rispondo.
La bimba mi abbraccia poi va verso la porta dove incontra la mamma che la saluta con un bacio. M. ricambia.
8*OSSERVAZIONE
M. oggi arriva accompagnata da una vicina di casa.
Sempre stimolata da me M, cominciò ad entrare in contatto con svariati giocattoli che sceglieva lei stessa, prelevava dallo scaffale e depositava in ordine sul tavolino piccolo senza però riuscire ad utilizzarli.
Riponeva sul tavolo una serie di perline da montare e smontare in collane e braccialetti, una serie di pupazzetti di gomma, i vagoni di un trenino da staccare e riattaccare muniti di calamita.
Guardava gli oggetti riposti tenendo le braccia incrociate con le mani dietro la schiena. Si possono rompere mi domandava. Una volta ho rotto un gioco e la mamma era arrabbiata e poi però anche lei aveva rotto un bicchiere.
Le interpretai questa paura e quindi anche la carica aggressiva, la rabbia che c'era dentro di lei e che aveva timore di far venire fuori.
Nel contempo mi misi ad usare con lei questi oggetti . Feci rotolare sul tavolo le palline fino al pavimento...facendo notare a M. come non si fossero rotte. La invitai a farlo anche lei.
M. mi sorrise poi prese ad imitare il mio gioco divertendosi visibilmente. "E'vero, non si rompono, è bello questo gioco, non facciamo le collane oggi" mi comunica M. Staccai volutamente una collana ad una bambola e la lasciai cadere sul pavimento. M. mi osservava incuriosita. Le dimostrai che gli oggetti sopravvivevano alla manipolazione e soprattutto che era possibile sbagliare anche per gli adulti. Anche gli adulti possono giocare e sbagliare, ma questo non implica la rottura dei rapporti, così pure gli oggetti rotti si possono aggiustare e riparare. M. mi abbraccio. “E vedi che si possono aggiustare le bambole! “Commenta. Lascia la stanza serena congedandosi con un "ci vediamo martedì”.
9* OSSERVAZIONE
Oggi M. dopo avermi salutata con il solito bacio sulla guancia si dirige decisa verso i giocattoli, scruta dentro la scatola poi tira fuori le perline della volta scorsa e le dispone in file sopra il tavolino.
Qualche perlina rotola sul pavimento M. coprendosi la bocca con la mano esclama "oh,"preoccupata e cercando il mio sguardo. La rassicuro. Faccio rotolare anch'io delle perline sul pavimento mostrandole come puo'essere divertente il gioco senza doversi preoccupare. "Dopo le raccolgo tutte" mi comunica la bambina. La invito a giocare serena. M. pare rassicurata, continua il suo gioco (peraltro tipico di una bambina piu'piccola della sua età). Giocando commenta che le piace molto questo gioco. Raccoglie poi le perline dal pavimento e le risistema nell’apposita scatoletta. Assecondo la tendenza della bimba a riprodurre costantemente lo stesso schema di gioco poiché noto che questa interattività del comportamento la rassicurava e le consentiva progressivamente di accedere ad uno spettro sempre più allargato di opzioni.
Nel contempo, pur rispettando il suo rituale le riproponevo al termine della sua scelta, se per caso c'erano altri giochi che desiderava utilizzare.
M. mi risponde che e'stanca e che decidera' la prossima volta.
"Forse giochero' con il puzzle” mi comunica prima di congedarsi.
10*OSSERVAZIONE
M. entra nella stanza e mi domanda: "Cosa facciamo oggi.?" "Tu cosa desideri."Domando. M. sorrise e arrivo' il momento in cui scelse la Barbie e ken con la loro macchina. Questa scelta fu molto significativa nell'ambito del nostro percorso, perche' permise a M. non solo di manifestare una chiara proiezione adulta, ma anche di potermi affidare un ruolo porgendomi Ken per giocare insieme. "Dai noi siamo amici e andiamo a fare una gita al mare con la macchina, tu guidi"mi propone M. mi lascio condurre dal suo gioco, una gita al mare dove “barbie” e “ken”si divertivano a fare tanti tuffi.
M. e'coinvolta piacevolmente nella sua attività ludica e' spontanea e cerca ogni tanto nel mio sguardo il solito cenno di approvazione. "Posso dire che barbie e' contenta? Mi sono divertita io oggi e tu?" Comunico a M. il mio accorato assenso. Ci congediamo con un bacio sulla guancia. Va sottolineato come, nel frattempo, dai primi incontri,la bimba non aveva mai più manifestato in mia presenza il sintomo della balbuzie. Nell'ambito comunicativo invece, M. tendeva spesso a intercalare degli "oddio!" Sottovoce quasi a voler verificare una mia approvazione dei concetti che esprimeva.
Dopo alcune interpretazioni circa la sua paura di manifestare liberamente i pensieri, in virtù di un possibile errore o di eventuali giudizi negativi anche questo comportamento si andò dissolvendo.
11*OSSERVAZIONE
Sempre più capace di muoversi spontaneamente, di rappresentare attraverso i giochi, un nuovo grosso passo avanti si manifestò quando al posto della barbie M. fu attratta dalle bambole “bambine” e mi propose di giocare con queste.
M. mi saluta con un ciao frettoloso entrando in studio."Dai oggi giochiamo ancora? Poi riordiniamo”.
Incoraggio la bimba a scegliere il suo gioco senza preoccuparsi dell'ordine.
M. prende il bambolotto e la bambola dalla cesta. "Loro sono piu' grandi di barbie e vanno a scuola. Tu tieni la bimba, la chiamiamo Giulia, io tengo lui che si chiama Filippo. "Giochiamo a far fare i disegni ai bambolotti. M. sistema il bambolotto su una sediolina al suo fianco. Guidando la mano dello stesso disegna una casa con dei fiori su un prato. Invita me a fare lo stesso con la bambola.
Scende dalla sedia con il bambolotto in braccio,"adesso vuole giocare un po'"mi dice. Si siede per terra sul tappeto, poi si rialza preoccupata di sporcarsi la gonna. Le comunico che è giusto che Filippo possa giocare un po', anche se è un bimbo che va a scuola è pur sempre un bambino e come tutti i bambini è un suo diritto che giochi. "Proprio come te" aggiungo. M. sorride, allora posso sedermi anche per terra mi domanda. Incoraggio ancora M. che rassicurata dal mio consenso torna a sedersi sul tappeto cullando il suo Filippo.
Va sottolineato che, tanto più M. si dimostrava capace di scegliere e dirigere i giochi, tanto più mi ritraevo nello sfondo, lasciandole completa autonomia. In questo variato contesto, oltre a rinforzare l'evidente nuova capacità del suo Io di rappresentarsi liberamente, manipolando il mondo dei giochi, le ofrii nuove interpretazioni volte ad ammorbidire la sua esigenza di controllo ossessivo (si potevano, per esempio, posare i giochi dove più faceva comodo anche per terra. Ci si poteva sedere sul tappeto, si poteva lasciare lo studio in disordine senza preoccuparsi di mettere tutto esattamente nella posizione di partenza).
Questi interventi liberatori, commentati in modo casuale, furono accolti in modo positivo da M. e segnarono un nuovo movimento in avanti e cioè l'abbandono spontaneo dei rituali di rassicurazione che la bambina fino a quel momento aveva manifestato.
La scelta era ormai diretta, immediata e diversificata, la comunicazione si era fatta più fluida, la nostra relazione scevra da paure. A questo punto, si poteva veramente cominciare a giocare.
12*OSSERVAZIONE- COLLOQUIO CON LA MAMMA.
Nel contempo delle sedute, decisi di convocare, separatamente la mamma di M. anche lei seguita periodicamente dai servizi di psicologia. L'obiettivo era quello di aiutare la signora a decodificare i comportamenti sintomatici della bambina e darle quindi una serie di indicazioni in linea con il mio intervento. Grazie alla sua collaborazione peraltro corretta e puntuale, fu possibile verificare che la bimba si stava trasformando velocemente anche fuori dalla situazione di setting e sperimentava a casa le sue nuove competenze. Anche la mamma iniziava a dare risposte positive a M.
"Abbiamo deciso con M che dopo la scuola ci fermiamo a giocare ai giardinetti. Vedo che lei e' felice di questo, non balbetta più , solo raramente e io voglio vederla serena mi comunica la signora visibilmente commossa. La signora mi comunica inoltre che M. le ha chiesto come regalo di compleanno una bambola.
"L'ho accontentata !"esclama felice. Ora anche la mamma riconosceva sul piano simbolico la sua bambina come piccola, ma non per questo meno adeguata. Veniva sancito che M, era giustamente bambina, che questo non solo si poteva accogliere in quanto di per sé fisiologico, ma veniva riconosciuto e sostenuto anche dalla mamma.
Da questo momento il cambiamento di M. fu rapidissimo seguendo ulteriori linee di sviluppo.
13*OSSERVAZIONE
Un ulteriore tappa nel pecorso di M. fu segnata dallo sperimentarsi bambina piccola a volte capricciosa, piena di richiesta verso gli adulti. Una sorta di fase di transizione volta a verificare, non solo nell'ambito del setting, ma soprattutto fuori, nel mondo familiare e scolastico, il nuovo senso di identità acquisito tramite la reintegrazione della sua parte bisognosa. Una fase regressiva, che ha segnato una profonda trasformazione di M. da bimba chiusa e inespressiva a vivacissima bambina capace di affermare la sua parte infantile nelle più svariate circostanze.
La bimba non viene agli incontri da venti giorni a causa di un’influenza.
-M.entra saltellando nello studio. Mi corre incontro lanciandomi le braccia al collo e stampandomi un energico bacio sulla guancia. Sono guarita mi comunica. Poi si svincola dall'abbraccio che io ricambio e si dirige verso i giochi.
Organizza a suo dire una festa di compleanno per la bambola che chiama Carlotta. Apparecchia il tavolino con piattini e bicchieri, simula di tagliare a fette una torta giocattolo di gomma e me ne offre una fetta. Le comunico che gradisco la torta partecipando al suo gioco. Le comunico che ha organizzato davvero una bella festa e le chiedo quanti anni compie la bambola. "Come me e anch'io faccio la festa ha detto mamma!" M. e' apparentemente radiosa. Le interpreto che immagino che sia davvero felice di cio' e che sicuramente la mamma l'aiuterà ad organizzare per lei una bella festa proprio come quella che sta svolgendosi nel suo gioco. "Mamma mi regala la bambola grande come questa nostra" aggiunge mostrandomi la stessa e tenendola fra le braccia.
M. continua il suo gioco. Adesso la bambola Carlotta deve fare i compiti, la festa è finita ( verbalizza) e domani la maestra le chiede le schede dei compiti. M. fa sedere Carlotta al tavolino e adagiandole un foglio e una penna fra le braccia la invita a compilare le schede. Bene, commenta adesso che hai finito i compiti puoi tornare a giocare con le tue amiche . “ E’ vero ?” Domanda M. cercando approvazione nel mio sguardo. Le rispondo che mi sembra giusta la sua osservazione, si può essere bambini giocando e anche assumendosi delle responsabilità un po’ più da grandicelle. La bimba mi sorride compiaciuta e mi domanda quanto tempo abbiamo ancora per giocare insieme. Intanto pettina con cura bambola che tiene tra le braccia.
Mancano pochi minuti alla fine della nostra seduta. All’arrivo della mamma M. pesta i piedi per terra piagnucolando con voce lamentosa e comunicandomi che vuole stare ancora. Dopo una serie di lamenti e opposizioni ( M. e’ imbronciata e tiene le braccia incrociate e serrate al petto ), la bimba mi comunica che stava giocando bene e allora andare a casa subito non le piace. Spiego a M. che anche io sono stata bene a giocare con lei e che comunque potremo continuare la prossima volta. Dopo un po’la bimba si rasserena e sul suo viso ricompare il sorriso. Mi abbraccia, mi saluta con un ciao, poi intravedendo la mamma che l’aspetta con un sorriso al di là della porta aperta dello studio le si avvicina . “ Volevo stare ancora, uffa “ . La signora spiega serenamente a M. che tornerà ancora a giocare con la dottoressa. M. annuisce “ si lo so “. Entrambe si scambiano un bacio sulla guancia, salutano e si allontanano per mano.
14* OSSERVAZIONE
-Seguì una seconda svolta nel percorso di M.: non solo si poteva essere piccoli e amati, seguiti e guidati. Si poteva anche crescere senza l’angoscia di dovere essere a tutti i costi adulti. Dunque, la fase regressiva di sperimentazione rispetto all’affermazione del proprio Io infantile, subì un riequilibrio, contrassegnato da un progressivo assestamento affettivo, volto al raggiungimento di un livello di maggiore autonomia funzionale. In questo periodo M. elaborò anche la sua gelosia nei confronti della sorella ( che come riferito dalla mamma diventò una compagna di gioco), considerata prima, una sorta di rivale adulta. Sempre la mamma riportò come la bimba superò la paura del buio. M. da un po’ di tempo non richiese più la luce accesa di notte nella sua stanza. Raccontò ancora in un colloquio individuale come evolvesse anche il suo rapporto con la figura del padre che cominciava finalmente ad instaurarsi in una dimensione di gioco e di relazione basata sul piacere e non sulla sofferenza, del suo desiderio di prendersi cura di sé stessa in modo affermativo.
Tutto questo mi fu dato da osservare anche attraverso un nuovo gioco inventato da M. durante le nostre sedute.
-La bimba mi saluta con un bacio sulla guancia:“ Oggi ho pensato di giocare alle mamme io e te, adesso prendo le cose e giochiamo” mi spiega la bimba. M. con fare sciolto e sicuro prepara la scena del gioco. Sistema delle sedie vicino al tavolino dei giochi, cerca due bambole, preleva delle tazzine con servizio da the’ e lo sistema sul ripiano del tavolo. Entrambe dobbiamo interpretare il ruolo di due mamme che si prendono cura delle loro bambine. “ Tieni, questa e’ tua figlia e questa e’ la mia “ mi spiega M. affidandomi una bambola e abbracciandone un’altra a sé. Discutiamo insieme davanti ad una tazza di the’ ( che M. simula di preparare tenendo la sua bambola in braccio ).
“ La mia bambina ha avuto il raffreddore, però la pediatra le ha dato le medicine e poi le è passato. Domani sarà la sua festa e se vuoi puoi venire con la tua bambina così giocano insieme “ verbalizza M. intensamente coinvolta nel suo ruolo.
M. manifestò in questa fase ludica una grande tenerezza e affettività nei confronti della sua parte piccola interna che ormai sembrava comprendere e accogliere dentro di sé, orientandola e guidandola nella vita.
“ Su dai, vai a giocare con la tua amica, giocate con le matite poi dopo dobbiamo fare il bagno” verbalizza alla sua bambola-bambina. M. non ha più una modalità di controllo sadico, coercitivo e punitivo, bensì tolleranza e affetto, rivendicando per la sua bambina il diritto a essere tale.
“ Adesso devo fare il bagno alla mia bambina “ mi comunica. Simula di lavare la sua bambola, asciugandola ed elogiandola per le sue capacità scolastiche.
Il nostro tempo è finito. “ Che bello, ci rivediamo e giochiamo ancora cosi” mi comunica M. congedandosi con un bacio.
Ricambio restituendole la mia approvazione.
15*OSSERVAZIONE
In questa fase del nostro percorso, si manifestò in M. una rinnovata capacità anche a scuola e in famiglia a fare uso della norma in modo flessibile e funzionale in modo da garantirle un’elasticità pulsionale. Parallelamente è riuscita ad affermare sempre più sé stessa nei confronti degli adulti, ma anche dei propri coetanei. M. ha imparato a stare con gli altri, ad aver rispetto di sé e delle proprie capacità..
-M. entra saltellando nello studio. Mi saluta con il suo solito bacio affettuoso poi mi comunica che vuole continuare a giocare con le bambole: “ Oggi le portiamo ai giardini a giocare e a fare la merenda” spiega. Parte decisa nell’organizzazione del suo progetto. Portiamo le nostre bambole al parco. M. fa fare le capriole sul prato alla bambola e m’invita a fare lo stesso con la mia: “ Dai, non importa se si sporcano un po’, poi stasera fanno il bagno “ commenta. La assecondo. Mentre le nostre bambole si divertono a fare capriole M. appare felice simulando
l’entusiasmo della sua bambola . “ Che bello, mammina mi sto divertendo, adesso ho anche fame e faccio merenda “ verbalizza.
“ Uh....ti sei sporcata i pantaloni, va bene non importa poi ci laviamo. Fai attenzione a non andare troppo veloce sullo scivolo però, se no ti gira la testa “ commenta ancora con la sua bambola.
M. intanto cerca il mio sguardo :”anche a me gira la testa quando vado forte sullo scivolo e allora cerco di andare piano....e’ vero ?”
Confermo la sua richiesta di approvazione.
M. ora da’ la merenda alla bambola invitandola a sedersi un po’ tranquilla per riposarsi:“ Adesso e’ stanca e allora si riposa un po’, tieni, mangia la banana che ti piace “ conclude M.
Ci congediamo con il nostro bacio sulla guancia.
“ Ciao ci vediamo presto “ aggiunge lasciando la stanza e correndo verso la mamma che l’ aspetta al fondo del corridoio.
16* OSSERVAZIONE
-Siamo a metà aprile, e presto M. andrà al mare con i genitori e la sorella a trovare dei parenti in occasione delle vacanze scolastiche. Con la mamma avevamo concordato di interrompere gli incontri.
La fase terminale del nostro rapporto, venne centrata sull’elaborazione comune del fatto che M. stava imparando come muoversi nel mondo, la balbuzie era praticamente scomparsa e la bimba non aveva più bisogno di aiuto per condursi serenamente. Erano passati sei mesi dall’inizio delle sedute. Era ancora un momento delicato, dove M. era consapevole di potercela fare da sola, ma preferiva procedere con cautela e servirsi , ancora per un po’ dell’ Io-ausiliario che io le fornivo per rafforzare ulteriormente la sua nuova identità. Sono trascorsi, infatti, ancora un paio di mesi prima di lasciare definitivamente l’ambito protetto delle sedute, con l’intesa comunque di potervi tornare in caso di necessità, ma soprattutto con la consapevolezza, esplicitata dalla bambina, di aver superato i suoi problemi e di sentirsi felice, forse un po’ triste per dovermi lasciare, certa però di potermi ritrovare in caso di bisogno e anche solo per il piacere di incontrarmi.
-M. oggi gioca da sola, lava le teste, pettina con cura le sue bambole, ogni tanto le chiede come vogliono essere pettinate, concordando nel gioco con loro l’acconciatura più adatta. “ Lo sai che adesso vado al mare. Io adesso sono brava, gioco, studio e mamma mi ha detto che al mare possiamo anche andare a fare le formine sulla spiaggia se non fa freddo.”
Aggiunge: “magari, non vengo più sempre qui, perché ho tante cose da fare, però voglio che tu quando posso mi fai venire, perché è stato bello giocare con te “.
Spiego a M. che sono d’accordo con lei. E’ cresciuta davvero molto in questo’ultimo periodo e anche se e’ ancora giustamente bisognosa di essere la bambina accudita e’ anche già in grado di fare delle cose da sola. “ Io ci sono, ogni qualvolta tu ne avessi la necessità” confermo.
M. sorride, viene a sedersi al mio fianco avvicinando la sua sedia alla mia e continuando a pettinare la bambola mi dice che anche la sua maestra adesso non la sgrida sempre quando sbaglia i compiti, perché può capitare. Mi informa anche del fatto che la notte non ha più paura del buio. “ Prima volevo la luce per guardare se c’era la mamma se mi svegliavo....ma tanto la mamma c’e’ sempre” chiarisce.
Quando il nostro tempo e’ terminato M. mi stringe forte a sé dicendomi: “ aspettami perché poi tornerò”. Ricambio il suo abbraccio rassicurandola sulla mia presenza anche pensandola.
CONCLUSIONI
Il caso di M. qui presentato nelle sue linee generali di sviluppo, come esempio di un lavoro a orientamento analitico effettuato attraverso la tecnica del gioco, ha consentito alla bambina di sciogliere i nodi conflittuali che rischiavano di bloccarne le potenzialità di sviluppo, di socializzazione e di apprendimento, seriamente compromesse nel momento della presa a carico.
Il sistema circolare terapia-scuola-famiglia ha consentito la risoluzione favorevole del caso nel giro di un periodo relativamente breve di sette mesi. Concordo con la visione di M. Klein quando afferma che la stanza dei giochi debba essere qualcosa di separato e diverso dalla vita familiare, per fornire al bambino una nuova palestra dove acquisire e sperimentare pensieri, sensazioni e desideri spesso incompatibili o in aperto contrasto con la normativa familiare.
Ciononostante, pur nel rispetto della peculiarità del setting, e’ doveroso in momenti di opportuno sostegno alla famiglia, fornire gli strumenti di decodifica del sintomo infantile e gli eventuali orientamenti strategici in linea con il lavoro terapeutico. In questa prospettiva, forse più affine all’orientamento proposto da A. Freud, si può trarre tuttavia un utile insegnamento da Bonaccorsi che sottolinea l’efficacia di mantenere separate le sedute con il bambino dagli incontri con la madre, differenziando in ciò il proprio intervento dal progetto di terapia a tre proposto da M. Mahler. Come sostiene Klein, e’ opportuno offrire l’interpretazione al bambino delle sequenze espresse nel gioco, le sue fantasie, i vissuti inconsci. Parallelamente allineandosi ad A. Freud e’ bene porsi anche in modo pedagogico, come Ideale dell’Io infantile ancora tanto precario e fragile, bisognoso di un modello cui riferirsi e rispetto al quale orientare le proprie spinte pulsionali.
Si possono quindi considerare maestre sia la Klein che A. Freud
per aspetti diversi del loro pensiero, facilmente integrabili nella prassi clinica con il bambino. La prima sottolinea infatti l’alta capacità infantile di “transferalizzare” immediatamente con il terapeuta non appena questi gli rappresenti intrapsichicamente l’oggetto delle sue angosce. L’esperienza in oggetto conferma questa ipotesi. Sembra peraltro, soprattutto per quanto concerne bambini in età scolare e in latenza, indispensabile promuovere questo primo movimento verso l’analisi, quindi verso la meta della guarigione, istituendo e ritualizzando un patto di alleanza con il bambino, che renda come sottolinea A.Freud, ecodistonici, i comportamenti sintomatici dello stesso. Sembra un modo significativo, per sancire una collaborazione tra il terapeuta e il piccolo paziente che si configura come “ il segreto” della stanza dei giochi, un legame cioè che unifica e consente il positivo instaurarsi di una spinta al cambiamento.
CONSIDERAZIONI TEORICHE SULLA FASE DI LATENZA (Terza Infanzia)
Mentre dal 3° al 5° anno di età il bambino tendeva a mettere in primo piano tutto ciò che a suo modo riguardava la sessualità dopo il 6° anno, risolta la fase edipica, quell’effervescenza si spegne lasciando il posto al velo della rimozione. Gli impulsi sessuali subirebbero un decremento o perché deviati dalle specifiche mete dal meccanismo di difesa della sublimazione o per un’inibizione biologicamente determinata. Il fanciullo e’ coinvolto da interessi intellettuali e ludici, e’ impegnato nello sforzo conformista di assimilare le norme e le caratteristiche dell’ambiente. Appare più pronto, più misurato. L’autorità, proprio in quanto e’ stata risolta la situazione edipica e’ accettata e strumentalizzata.
Secondo A. Freud, in questa fase, il rapporto tra bambini e genitori diverrebbe meno appassionato venendo a perdere il suo carattere esclusivo. Il bambino comincia a vedere i genitori più freddamente e in un certo senso più obiettivamente. Gli anni della scuola elementare costituirebbero un periodo ricco di esperienze nell’ambito del confronto e dell’adattamento sociale.
Un certo declino delle facoltà intellettuali del bambino all’inizio del periodo di latenza e’ stato finora spiegato in modi diversificati. Considera ancora A. Freud, che i brillanti risultati intellettuali della prima infanzia sarebbero connessi strettamente con gli interrogativi che il bambino si pone circa l’ignoto che caratterizza il sesso. Dal momento in cui questo argomento diventa tabù,le proibizioni imposte e l’inibizione che ne consegue, si estendono ad altri settori del pensiero. Infatti, dopo il riaccendersi della sessualità nel periodo prepuberale, ovvero con il crollo della barriera della rimozione della sessualità infantile, le facoltà intellettuali del soggetto rinascono nel loro antico vigore. Se il bambino nel periodo di latenza non indulge in pensieri astratti, non e’ perché non osa farlo, ma perché non ne sente il bisogno. L’infanzia e la pubertà, sono momenti in cui il bambino avverte la pericolosità degli istinti e l’intelligenza di cui e’ dotato, lo aiuta almeno in parte a superare questo pericolo.
Nel periodo di latenza, come nell’età adulta, l’ Io divenuto relativamente forte, puo’ allentare i suoi sforzi diretti a intellettualizzare i processi istintuali.
Il lavoro intellettuale svolto dall’Io durante il periodo di latenza, dovrebbe quindi essere molto più strutturato, più sicuro, e soprattutto più legato all’azione.
Nei “Tre Saggi sulla Teoria Sessuale”, alla voce il periodo di latenza sessuale dell’infanzia e le sue interruzioni, Freud argomenta di come il neonato, porti con sé strascichi di elementi sessuali che per un certo periodo continuano ad evolvere, per poi subire una repressione sempre crescente, che può essere a sua volta interrotta da irruzioni dello sviluppo sessuale e anche ostacolata da aspetti individuali. Durante questo periodo di latenza totale o quasi parziale si sviluppano quelle potenze psichiche che più avanti si presenteranno come ostacoli alla pulsione sessuale, e come argine ne costringeranno entro certi limiti la direzione. Si può considerare come la costruzione di tali argini possa essere deputata all’educazione. In realtà, sostiene Freud questo sviluppo sarebbe condizionato anche organicamente, fissato ereditariamente, e può talvolta verificarsi senza alcun intervento educativo. Queste costruzioni importanti per l’incivilimento dell’individuo, vengono erette a spese degli impulsi sessuali infantili stessi, la cui energia, in questo periodo di latenza, e’ deviata dall’impiego sessuale e rivolta ad altri scopi che per mezzo del meccanismo della sublimazione, ottiene importanti investimenti per tutte le operazioni della civiltà. I moti sessuali di questi anni di infanzia, sarebbero da un lato inutilizzabili in quanto le funzioni procreative sono rimandate, e questo e’ il carattere principale del periodo di latenza, sotto un altro aspetto sarebbero invece di per sé perverse in quanto deriverebbero da zone erogene, sorrette quindi da pulsioni che provocherebbero soltanto sensazioni di dispiacere.
Di conseguenza, i moti sessuali risveglierebbero forze psichiche contrarie, che erigono per effettuare un’attiva repressione di tale dispiacere, i detti argini psichici: il disgusto, il pudore e la morale.
Bibliografia
- Sigmund Freud “ I Tre Saggi sulla Teoria Sessuale-Bollati-Boringhieri
-Anna Freud “ L’Io e i meccanismi di difesa “Martinelli- Firenze
-M. Klein “ Il nostro mondo adulto....” Boringhieri
-M. Klein “ Invidia e gratitudine” “ Boringhieri
-Mussen “ Psicologia dell’eta’ evolutiva” Boringhieri
-Mahler “ La nascita psicologica del bambino “ Boringhieri –Torino
- Il Modello Tavistock- “Esperienze di psicoterapia infantile”
M. Pontecorvo-Martinelli -Firenze
- Lowen “ Arrendersi al corpo “
Si fa presente che la fotografia e il nome non sono ovviamente collegati e riconducibili al caso trattato.